Poesia

La vispa Teresa

La farfalletta (Luigi Sailer, circa 1850)

La vispa Teresa avea tra l’erbetta
A volo sorpresa
gentil farfalletta
E tutta giuliva
stringendola viva
gridava a distesa:
“L’ho presa! L’ho presa!”.
A lei supplicando
l’afflitta gridò:
“Vivendo, volando
che male ti fò?
Tu sì mi fai male
stringendomi l’ale!
Deh, lasciami! Anch’io
son figlia di Dio!”.
Teresa pentita
allenta le dita:
“Va’, torna all’erbetta,
gentil farfalletta”.
Confusa, pentita,
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quella fuggì.


La vispa Teresa (Trilussa, 1917 – come ideale continuazione de La farfalletta)

Se questa è la storia,
che sanno a memoria
i bimbi di un anno,
pochissimi sanno
che cosa le avvenne
quand’era ventenne!

Un giorno di festa,
la vispa Teresa
uscendo di Chiesa
si alzava la vesta
per farsi vedere
le calze chiffonne,
ché a tutte le donne
fa tanto piacere.

Armando il pittore,
vedendola bella,
le chiese il favore
di far da modella.
Teresa arrossì
ma disse di sì.
“Verrete?” “Verrò:
ma badi però…!”
“Parola d’onore!”
rispose il pittore.
Il giorno seguente,
Armando, l’artista,
stringendo furente
la nuova conquista,
gridava a distesa:
“T’ho presa, T’ho presa!”

A lui supplicando
Teresa gridò
“Su, su, mi fa male
la spina dorsale,
mi lasci ché anch’io
son figlia di Dio…”
“Se ha qualche programma
ne parli a la mamma…”
A tale minaccia
Armando tremò,
dischiuse le braccia…
ma quella restò.

Perduto l’onore,
sfumata la stima,
la vispa Teresa
più vispa di prima,
per niente pentita,
per niente confusa,
capì che l’amore
non è che una scusa.

Per circa tre lustri
fu cara a parecchi:
fra giovani e vecchi,
fra oscuri ed illustri,
la vispa Teresa
fu presa e ripresa.
Contenta e giuliva
soffriva e s’offriva.
(La donna che s’offre
se apostrofa l’esse
ha tutto interesse
di dire che soffre).

Ma giunta ai cinquanta,
con l’anima affranta,
col viso un po’ tinto,
col resto un po’ finto
per torsi d’impaccio
dai prossimi acciacchi,
apriva uno spaccio
di sale e tabacchi.

Un giorno un cliente,
chiedendo un toscano
le porse la mano,
così… casualmente:
Teresa la prese,
la strinse e gli chiese:
“Mi vuole sposare?
Farebbe un affare!”
Ma lui, di rimando,
rispose: “No, No!…
Vivendo fumando
che male ti fo?”
Confusa e pentita
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quello fuggì.

Ed ora Teresa,
pentita davvero,
non ha che un pensiero:
d’andarsene in Chiesa.
Con l’anima stracca
si siede e stabacca,
offrendo al Signore
gli avanzi di un cuore
che batte la fiacca.

Ma spesso fissando
con l’occhio smarrito
la polvere gialla
che resta sul dito,
le sembra il detrito
di quella farfalla
che un giorno ghermiva
stringendola viva.

Così, come allora,
Teresa risente
la voce innocente
che prega ed implora:
“Deh! Lasciami! Anch’io
son figlia di Dio!”
“Fu proprio un bel caso!
– sospira Teresa,
fiutando la presa
che sale nel naso –
Se qui non son lesta
mi scappa anche questa!”

E fiuta e rifiuta,
tossisce e sternuta:
il naso è una tromba
che squilla e rimbomba
e pare che l’eco
si butti allo spreco…

Fra un fiotto e un rimpianto,
tra un soffio e un eccì!
la vispa Teresa…
lasciamola lì!

 

Encuentro

Ni tú ni yo estamos
en disposición
de encontrarnos.
Tú… por lo que ya sabes.
¡Yo la he querido tanto!
Sigue esa veredita.
En las manos
tengo los agujeros
de los clavos.
¿No ves cómo me estoy
desangrando?
No mires nunca atrás,
vete despacio
y reza como yo
a San Cayetano,
que ni tú ni yo estamos
en disposición
de encontrarnos.

(Federico García Lorca)

El Beso

Con candoroso embeleso
y rebozando alegría,
me pides morena mía
que te diga… ¿Qué es un beso?

Un beso es el eco suave de un canto,
que más que canto es un himno sacrosanto
que imitar no puede el ave.

Un beso es el dulce idioma
con que hablan dos corazones,
que mezclan sus impresiones
como las flores su aroma.

Un beso es…no seas loca…
¿Por qué me preguntas eso?
¡Junta tu boca a mi boca
y sabrás lo que es un beso!

Federico Barreto Bustíos (Tacna, Perú, 8 de febrero de 1862 – Marsella, Francia, 30 de octubre de 1929)

Metamorfosis

Era un cautivo beso enamorado
de una mano de nieve, que tenía
la apariencia de un lirio desmayado
y el palpitar de un ave en la agonía.
Y sucedió que un día,
aquella mano suave
de palidez de cirio,
de languidez de lirio,
de palpitar de ave,
se acercó tanto a la prisión del beso,
que ya no pudo más el pobre preso
y se escapó; mas, con voluble giro,
huyó la mano hasta el confín lejano,
y el beso que volaba tras la mano,
rompiendo el aire, se volvió suspiro.

Luis Gonzara Urbina (Ciudad de México, 8 de febrero de 1864 — Madrid, España, 18 de noviembre de 1934)

Lamento della ninfa

“Lamento della ninfa”
di Ottavio Rinuccini (1562-1621)

Non havea Febo ancora
recato al mondo il dí,
ch’una donzella fuora
del proprio albergo uscí.

Sul pallidetto volto
scorgeasi il suo dolor,
spesso gli venia sciolto
un gran sospir dal cor.

Sí calpestando fiori
errava hor qua, hor là,
i suoi perduti amori
cosí piangendo va:

“Amor”, dicea, il ciel
mirando, il piè fermo,
“dove, dov’è la fè
ch’el traditor giurò?”

Miserella.

“Fa’ che ritorni il mio
amor com’ei pur fu,
o tu m’ancidi, ch’io
non mi tormenti più.”

Miserella, ah più no, no,
tanto gel soffrir non può.

“Non vo’ più ch’ei sospiri
se non lontan da me,
no, no che i martiri
più non darammi affè.

Perché di lui mi struggo,
tutt’orgoglioso sta,
che si, che si se’l fuggo
ancor mi pregherà?

Se ciglio ha più sereno
colei, che’l mio non è,
già non rinchiude in seno,
Amor, sí bella fè.

Ne mai sí dolci baci
da quella bocca havrai,
ne più soavi, ah taci,

taci, che troppo il sai.”

Sí tra sdegnosi pianti
spargea le voci al ciel;
cosí ne’ cori amanti
mesce amor fiamma, e gel.