La botta

7 maggio 2012, elezioni amministrative in Italia. Il centrodestra ha preso una batosta colossale e risulta agonizzante, il centrosinistra boccheggia ma tiene, il centro o terzo polo (comunque lo si voglia chiamare) subisce una battuta d’arresto. Anche la Lega non brilla pur tenendo saldo e persino l’Italia dei Valori di Di Pietro tutto sommato non è che possa gioire. I veri protagonisti sono Tosi a Verona e Orlando a Palermo (Orlando andrà al ballottaggio mentre Tosi risulta eletto con una percentuale bulgara). I veronesi hanno premiato il loro sindaco e i palermitani non solo non hanno dimenticato Orlando che era in prima fila in anni difficilissimi ma gli hanno dato fiducia e calorosa accoglienza. Mentre il centrodestra ammette (per forza visto lo scivolone clamoroso) la sua sconfitta che era comunque nell’aria, dovendo “statisticamente” pagare lo scotto delle vicissitudini di Berlusconi prima e della crisi dopo ed avendo appoggiato un governo di tecnocrati che si sta rivelando una accozzaglia di incompetenti, il centrosinistra che non brilla per personalità riesce (e meno male per loro) a sopravvivere, con qualche perdita e nonostante l’assenza di un leader. Però in quei lidi un personaggio vecchio ma sempre arguto e battagliero torna all’attacco: Massimo D’Alema. D’Alema accarezza il “terzo polo”, cerca di tornare in auge da quel passato antichissimo che lo vide primo comunista alla guida di un governo repubblicano in Italia. Ma il suo passato di “cardinale tessitore” con occhi a sinistra e a destra e un marchio ingombrante come quello del Partito Comunista Italiano che fu di Togliatti e Berlinguer non lo facilitano. Resta comunque un uomo che lucidamente reclama il posto di comando in un centrosinistra dove il centro si è fatto un altro partito e la sinistra si vergogna di esistere demandando la sua tradizione solo al giovane e brillante incantatore di serpenti Vendola. Ma a parte il buon vecchio D’Alema che forse è il toccasana che serve a una sinistra inconcludente e confusa adesso si profila il paradosso: il comico Beppe Grillo prende una valanga di voti (il suo movimento). Il paradosso sta nel fatto che la gente va a votare uno che protesta e non esprime idee, la protesta senza la responsabilità della proposta. Finiremo governati dai comici? Per quanto io voglia bene all’eccellente Grillo parlante preferisco che a fare la politica siano i politici, magari con qualche soldo in meno e un po’ di dignità in più.