Berenice 11

Berenice e Assuntina sbadatina.

Nel bosco incartato ogni cosa ha un nome e ogni ospite pure. Nessuno che abiti nel bosco incartato può non possedere un nome di cui andare fiero. Anche Berenice, la vispetta bambina ha un nome di tutto rispetto. Bisogna chiamare ogni cosa con il suo nome e guai a fare confusione. Berenice sapeva bene che i nomi servono a distinguere le persone e le professioni e anche i colori dei gattini e di sovente giocava alla maestra e interrogava i suoi invisibili ma bravissimi alunni. “Carletto interrogato!” Si, cominciava così il gioco della maestra.
Un giorno la mamma portò con se la piccola Berenice a fare compere al mercato e come sempre la bimbetta entusiasta accolse la nuova con spirito giocoso. Presero la corriera sbuffosa che era un grosso bus antichissimo a gasolio, tutto colorato e pieno di merletti e di ex-voto che sembrava una vara del santo patrono; si sedettero appena dietro il conducente perché Berenice voleva vedere la strada e le curve e poi era divertente stare sulla corriera nei posti davanti. Trunch sbuff bang bangh! truch truch trumm trumm trummummum… la corriera si avviò. Fuori dal bosco incartato, giù per la rocca fino al pianoro e poi le dolci colline e i cipressi raccolti a gruppi di tre o quattro e qualche casa piccola piccola in mezzo ai campi arati: i campi a righe della fantasia di Berenice, non si confondano con i campi a quadretti che sono quelli dove crescono gli scacchi. E la fantasia galoppa e la sorpresa nuova ad ogni curva: Berenice osservava tutto, anche la fatica del grosso conducente in maniche di camicia con il suo berretto d’ordinanza sempre fuori posto e i capelli corvini perennemente bagnati di una brillantina naturale a forza di sudore. Ciuff sbuff crangh spiff cingh… la corriera arrivò a destinazione. Berenice tenendo per mano la sua mamma scese dall’allegra corriera e insieme andarono a fare compere al mercato della città. Il sole già alto in cielo avvolgeva con il suo calore ogni cosa e le mercanzie brillavano luccicanti appese alle coloratissime bancarelline del mercato. Scarpe, gonne, magliettine colorate e poi ancora scarpe, pentole e cappelli e borse e giocattoli, si si, giocattoli! La bancarellina dei giocattoli mostrava una fila di bellissime bambole alte quasi quanto Berenice, sembravano molto simili a quella nella bottega del sarto, quella bambola che Berenice aveva scambiato per una bimba. Si fermarono lì a dare un’occhiata, madre e figlia incantate dalle bambole con quei vestitini demodé. Sotto la tenda brillante della bancarellina anche una signora, piccola come le sue bambole e con lunghi capelli bianchi attorcigliati sulla nuca. La donnina vestiva come le sue bambole con una gonna larga e vaporosa e sopra di quella, in bella vista un bianchissimo grembiule con volant e disegni di cuoricini sulla pettorina. “Signora Adelfa buongiorno”, la donnina conosceva bene la mamma di Berenice e con lei intavolò una sequela di convenevoli e chiacchiere che solo le giocattolaie sanno condurre con grande maestria. Berenice non faceva a caso, era presa dalle bambole e le osservava tutte, cercando in ognuna quel qualcosa che fosse unico da meritare il suo desiderio. Venne però anche per lei il momento dei convenevoli: “ciao piccolina, come ti chiami?” Berenice con la sua vispa  giocosa gaiezza non si fece prendere alla sprovvista e  con puntuta fierezza rispose: “Berenice!” E così dicendo accennò un inchino come aveva visto fare nei cartoni animati. La giocattolaia cominciò a chiedere: “ma tu, vai a scuola o all’asilo?” Berenice rispose ad ogni domanda con prontezza professionale, del resto lei non era una bambina qualunque: era Berenice! “E allora piccola Adele, quanti anni hai? Berenice fece una smorfia divertita rispose: “mi chiamo Berenice io! – “Oh già, mi sembri grandicella piccola mia, secondo me vai già in prima elementare. Allora Anna quanti anni hai?” Berenice un po’ divertita e un po’ indispettita sbottò: “Berenice, mi chiamo Berenice io!”. La giocattolaia abbassò i suoi occhiali da lettura che teneva sul suo piccolo nasino da bambolina e guardò dritto negli occhi la bimba che protestava: “già piccola mia, Berenice, lo so. E allora non vuoi dirmi quanti anni hai piccola Cinzia?” Berenice divertita dalla sbadataggine dell’anziana signora rispose: “sono bimba io!” Fece un inchino e scappò via a guardare le caramelle e i confetti esposti nella bancarella di fronte. Terminati i convenevoli di rito e definite alcune questioni di secondaria importanza, la mamma di Berenice salutò la giocattolaia e raggiunse la piccola Berenice alla bancarellina di fronte dove Berenice già con sguardo sognante assaporava con la fantasia le caramelle colorate esposte a cumuli ordinati. Girarono ancora un po’ le due dame, tra colori e profumi e oggetti rari ed eleganti: Berenice pensava ancora a quella signora, quella signora sbadata che nel giro di pochi minuti l’aveva chiamata con almeno tre nomi diversi. “Certo  che dev’essere un poco sbadata” pensava tra se e se la piccola mentre divertita immaginava se stessa cambiando i nomi degli oggetti e dei suoi amici del bosco incartato. “Che confusione, no no, no… non si possono cambiare i nomi. O forse si? …Magari per gioco! Si, solo per gioco, per un minuto soltanto tutti nomi cambieranno!” Fantasticando fantasticando la mattinata passò che Berenice non si accorse nemmeno di aver ripreso la corriera con la sua mamma e che erano già tornate a casa: si era fatta trascinare dalla fantasia e anche fisicamente dalla sua mamma che se la scarrozzava come un pacco postale sognante e con il cappellino in testa.