Berenice 13

Berenice e la luce dell’inverno.

Nel bosco incartato l’inverno era già arrivato da tempo e le foglie gialle e rosse degli alberi secolari erano cadute in un tappeto folto e croccante già ricoperto a chiazze dalla prima neve. Le giornate corte e il freddo davano ai rami spogli una atmosfera triste; anche la luce filtrando tra le nubi grigie vibrava debole durante tutto il breve giorno invernale. Passeggiava di sovente all’imbrunire Berenice. La bimba cercava le migliori foglie che l’autunno le aveva consevato tempo prima per dipingervi sopra i suoi paesaggi preferiti. Sì, Berenice amava dipingere le foglie, quelle più grandi e gialle. Ogni tanto, nelle giornate fredde del bosco incartato il sole bucherellava qualche nuvoletta compiacente e lance di luce rossa inclinata rompevano il pallido panorama ceruleo degli orizzonti fantastici di quel luogo unico. La luce, quella luce che in estate era forte e sagomava capricciosamente e con contrasti forti le masse enormi degli alberi secolari, quella luce adesso vibrava di un rosso acceso ed era quasi orizzontale, un fiume nel pulviscolo invernale che lambiva come una carezza materna la neve già accumulata dietro le rocce più cupe. Quando il cielo era terso, Berenice notava la luce colorata che proiettava distintamente l’ombra dei rami degli alberi sulla parete grande della sua casa al margine del bosco. Ombre che vibravano al compasso del vento, a volte leggere come un valzer viennese e a volte impetuose e agitate come anime in cerca di aiuto. Questo era ciò che immaginava Berenice assorta nelle sue fantasie tra le sue bambole e i suoi amici immaginari del bosco. E l’ombra che sfuggiva al muro grande poi finiva per terra, lunghissima e sfumata in un sentiero cupo nella neve tra i vialetti fangosi delle strisce lasciate dai carri sul terreno imbiancato. Anche la staccionata aveva un’ombra lunga, e pure il pozzo con le sue carrucole cigolanti. Poi in quei pomeriggi brevi arrivava il tramonto e il sole rosso come il fuoco, prima di sparire dietro le cime aguzze della montagna, macchiava di colori forti le nuvole proiettando una illusione che sembrava un mare immobile, calmo nella tempesta di onde di cotone vaporose. E poi il crepuscolo, breve e intenso che accompagnava il bosco nel buio della notte invernale. Berenice ormai a casa, osservava dalla finestra lo spettacolo naturale immaginando dialoghi e movimenti di alberi spettrali ormai quasi al buio. Dalla finestra di Berenice potevano scorgersi le stelle se la notte era limpida e il cielo, anche col freddo invernale sembrava quello d’estate, brillante di stelle, stelle stelline che Berenice conosceva perché le aveva viste sull’atlante e sapeva anche i nomi delle costellazioni. Quello, quello è il carro dell’orsa maggiore! Poi a nanna insieme alla sua mamma e a tutti i folletti immaginari del bosco. Berenice si addormentava sapendo che domani un altro  giorno le avrebbe dato emozioni nuove e sicuramente avrebbe scoperto prima o poi la luce della primavera.